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La separazione delle carriere dei magistrati rappresenta un tema piuttosto dibattuto negli ultimi 50 anni del mondo della giurisdizione penale.
Il fondamento principale, sul quale viene giustificata l'unicita' delle carriere dei magistrati, fa leva sui principi di liberta' che vennero schierati, con la creazione di una costituzione rigida, quale e' la nostra Costituzione, contro l'idea che la sua mutazione potesse essere legislativamente raggiunta da una maggioranza assoluta, mentre tale risultato oggi puo' essere conseguito solo da maggioranze qualificate, ed in mancanza, con l'aiuto dell'istituto del referendum confermativo.
Ed infatti attualmente si teme di vivere sotto un sistema dispotico europeo, dove le garanzie di liberta' garantite dall'Europa, non sono ancora fondate su di una effettiva fusione politica tra le nazioni che la costituiscono, a favore del potere quasi contraddittorio della Commissione Europea, che si basa sull'unanimita' e non sulla maggioranza.
In tale ottica si ricorda che lo Statuto Albertino era strutturato in modo tale da dare preminenza assoluta al partito maggioritario, che ha portato in modo quasi automatico, come si enuncia da certa parte parlamentare, alla dittatura del trascorso ventennio.
Ma pare che la garanzia di una maggioranza qualificata o aiutata dal referendum confermativo, non sia sufficiente per dare supporto all'idea che la magistratura debba essere dotata di autonomia ed indipendenza.
Infatti coloro che sono contrari alla separazione delle carriere e paventano la possibilita' che tali autonomia ed indipendenza, pur costituzionalmente previste, possano venir meno e quindi introducano un ulteriore strumento, che non trova alcun fondamento costituzionale o legislativo, e che viene espresso come una specie di dubbio atroce, che qualsiasi tipologia di separazione possa portare alla sottomissione del potere giudiziario al potere esecutivo, o meglio della dipendenza del potere requisitorio al potere esecutivo stesso.
In un assetto politico come quello attuale un tale timore non ha alcuna giustificazione, considerato l'articolo 111 della Costituzione che parla espressamente di autonomia ed indipendenza della magistratura.
Ma anche se fosse introdotta costituzionalmente la sottoposizione del potere giudiziario a quello esecutivo, eccetto i magistrati giudicanti, autonomi ed indipendenti, che cosa cambia?
Non credo assolutamente che cio' sia fonte di ingiustizie, e con cio' mi riferisco alla sottoposizione dei magistrati inquirenti al potere esecutivo nella maggioranza di tutte le democrazie occidentali, con speciale riferimento al processo penale anglo-americano.
Sotto un altro punto di vista, per l'Associazione Nazionale Magistrati la separazione delle carriere apporta una modifica sostanziale all'attuale assetto della magistratura in generale, perche' in primo luogo dividere in due un potere giudiziario comporta necessariamente una perdita di potere e quindi di prestigio.
Ma quello che in realta' l'unicita' della magistratura viene a perdere e' quel potere di autodichia che fa leva su di un concetto di azione penale obbligatoria che fa acqua da tutte le parti.
Infatti, dal contesto risulterebbe che la magistratura non applica tale principio, in quanto, salvo situazioni di massima evidenza, che potrebbero comunque essere messe in dubbio, ai pubblici ministeri non garba assolutamente che essi possano essere essi in stato d'accusa da altri pubblici ministeri, a meno che non siano piu' magistrati, e quindi per ragioni risalenti al loro passato esercizio.
Faccio un esempio. Nel caso di Garlasco, il pm Venditti e' stato inquisito, nonostante non si abbiano tracce univoche della sua colpevolezza in merito a presunti atti di corruzione del magistrato quando lo era all'epoca dell'accaduto.
E la cosa piu' strana e' proprio il fervore con cui si continua ad accusare il Venditti, come a voler significare che il popolo puo' stare tranquillo, e quindi non c'e' alcun bisogno di referendum sulla separazione delle carriere, perche' i pubblici ministeri vigilano.
Io ritengo che vigilino solo quando lo ritengano loro.
Se Venditti fosse stato inquisito, stante la sua permanenza nell'ordine giudiziario, di certo, la mancanza di prove certe della sua corruzione avrebbe escluso a priori la possibilita' di un suo rinvio a giudizio.
E quindi Venditti sarebbe stato difeso a spada tratta dall'insieme dei magistrati.
Tutto questo porta ad una conseguenza molto semplice.
Che il potere conferito alla magistratura comporta che i giudici non vogliono indagare contro giudici o pubblici ministeri, salvo situazioni macroscopiche.
E che la costrizione a fare cio' che loro non vogliono fare si sposa perfettamente con la loro sottomissione al potere esecutivo.
Questo significa che i magistrati non vogliono la separazione delle carriere, perche' toglie loro autorevolezza e potere e potrebbe comportare anche la loro sottoposizione al potere esecutivo.
Tuttavia abbiamo avuto abbastanza esperienza su come i giudici hanno agito per poter costrruire maggioranze politiche referenziali.
Ed e' arrivato il momento in cui anche i magistrati debbano pagare per gli errori da loro commessi, con la creazione dell'Alta Corte disciplinare, di cui faranno parte magistrati totalmente autonomi dalla magistratura ordinaria.
A questo proposito c'e' chi afferma che la presenza di un giudice speciale perche' non ordinario sia anticostituzionale, ma si reputa che si potra' apportare un correttivo senza alcun problema, perche' se in un giudizio si arriva a contestare la costituzionalita' di una norma allora non c'e' dubbio che Mattarella dovra' agire per porre un rimedio e che si potra' ovviare anche con un asemplice legge ordinaria.
Da un altro punto di vista sono plateali certi errori, tanto per fare dei nomi, dal caso Tortora a quel sardo che e' rimasto in carcere ingiustamente per 33 anni, per non parlare del caso del mio povero genitore, accusato ingiustamente di corruzione e poi assolto con formula piena dopo 6 anni, ovviamente con influenza diretta sulle mie carriere di aspirante avvocato e magistrato.
Ultimamente si vuole creare confusione sul referendum perche' attraverso 15 parlamentari si vogliono raccogliere 500.000 firme per destabilizzare i suoi fondamenti, appoggiando il comitato per il no.
Vi sono seri dubbi persino sulla legittimita' di una sede per il comitato del no al referendum, posta nel "Palazzaccio", la sede della Corte di Cassazione, avendo questa corte una specifica connotazione giuridizionale, ma a cui si vorrebbe aggiugere persino un carattere politico, e cio' in omaggio alla fantasiosa teoria, secondo la quale i tre poteri godrebbero ciascuno di una cospicua frazione di potere degli altri due.
Non si puo' non riconoscere un determinato potere giurisdizionale in capo al parlamento per la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica e di ciascuno dei ministri.
Ma da qui ad arrivare che anche i magistrati, intesi come dotati di potere giurisdizionale, alla stregua del ministro competente, avrebbero anche il potere di consentire la promulgazione di norme favorevoli ad essi o alla parte politica che collude con loro, e' certamente un'esagerazione, un'esorbitanza dalla loro origine costituzionale, cioe' sarebbe legittimato il potere di emanare norme, non da parte di un consesso di elezione politica, ma da un ambito che si e' impossessato di tale potere grazie a pure manovre di lecito dubbio costituzionale.